marina nemat
ZCZC0971/SXRYMI16450R SPE S0B S41 QBXHLIBRI: MARINA NEIMAT, IO 'PRIGIONIERA DI TEHERAN'/ANSAAD AUTRICE IL PREMIO PER I DIRITTI UMANI DEL PARLAMENTO EUROPEO (ANSA) - MILANO, 17 DIC - E' una 'Persepolis' persino piu' dolente di quella descritta dai fumetti di Marjane Satrapi quella narrata da Marina Neimat, autrice di 'Prigioniera di Teheran', libro per cui ha ricevuto il premio per i diritti umani del Parlamento Europeo. Come 'Persepolis', il memoir della Neimat, che da dieci anni e' cittadina canadese, racconta da dentro l'evoluzione e i mutamenti subiti dall'Iran dopo la Rivoluzione Islamica, ma mentre la fumettista, ancora adolescente, fu spedita in Austria dai suoi genitori, la scrittrice passo' invece due anni, due mesi e dodici giorni nella famigerata prigione di Evin. Incarcerata per essersi opposta alle guardiane della rivoluzione, che a scuola volevano insegnarle il fanatismo anziche' la grammatica, Marina inizialmente fu condannata a morte dal regime di Khomeini. Ma uno dei suoi carcerieri, Ali, si innamoro' di lei, la obbligo' a convertirsi dal cattolicesimo all'Islam e a sposarlo per farle avere la grazia dall'ayatollah. Per nulla afflitta dalla sindrome di Stoccolma, Neimat, in Italia per ritirare il premio europeo, spiega che ''nessuno di noi e' totalmente buono o cattivo: prima di essere un carnefice, mio marito Ali, che era stato imprigionato a Ezin quando c'era lo Scia', era a sua volta una vittima, e se non fosse stato per lui - riconosce serenamente - oggi non sarei viva: credo che si debbano conciliare rabbia e perdono, amore e rancore, senno' si alimenta un circolo vizioso di vendette che non aiuta nessuno''. Per fare i conti con il suo passato, ci sono voluti dieci anni: ''il giorno in cui sono stata rilasciata da Evin, la sera a cena dai miei si parlava del tempo, come se non fossi stata oltre due anni in prigione e - racconta - non e' stato cosi' solo per me: in molti hanno pensato che, non facendo riferimenti al passato, prima o poi noi prigionieri lo avremmo dimenticato''. Lei stessa, tra seconde nozze (con il ragazzo che l'aveva aspettata per tutta la prigionia) e trasferimento in Canada, aveva creduto di poter seppellire Ezin, ''ma un giorno, sotto la doccia, ho cominciato a gridare: erano tutto il dolore, la rabbia, il rancore che covavo e non riuscivo a esprimere da anni''. ''Scrivere questo libro - dice - non e' stata una decisione, ma una necessita': quella di fare i conti con il mio passato''. Con gli anni a Evin, dove ''dall'81 al'91 - afferma - sono passati circa 40mila prigionieri politici''. Una prigione che e' in uso tuttora ''e che per fortuna ospita molta meno gente, non perche' il governo di oggi sia migliore di quello di ieri, ma perche' - spiega Marina - la popolazione ormai si e' fatta furba''. Tanto che, ''avevo pensato di tradurre il libro in persiano, per farlo circolare almeno su internet, ma non ce n'e' bisogno, perche' l'hanno gia' fatto di nascosto!''. Il suo paese, dove non ritorna da un decennio, oggi - secondo Neimat - vive in una sorta di limbo: ''gli iraniani sono in un Purgatorio: la maggior parte odia il Governo, ma vedono cio' che succede in Iraq e pensano di avere un minimo di stabilita'''. Eppure, ''nessuna dittatura dura per sempre e l'Iran e' una nazione di giovani, per questo - sprona - dobbiamo mantenere la speranza''. E rinfrescare spesso la memoria collettiva, anche con ricordi personali. Per questo, dopo 'Prigioniera di Teheran', Marina ora ha intenzione di raccontare le storie delle tante ragazze condannate a morte che, a Evin, sono diventate madri di quella che chiama 'la generazione senza genitori'. (ANSA).
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