henryluise

Friday, December 28, 2007

marina nemat

ZCZC0971/SXRYMI16450R SPE S0B S41 QBXHLIBRI: MARINA NEIMAT, IO 'PRIGIONIERA DI TEHERAN'/ANSAAD AUTRICE IL PREMIO PER I DIRITTI UMANI DEL PARLAMENTO EUROPEO (ANSA) - MILANO, 17 DIC - E' una 'Persepolis' persino piu' dolente di quella descritta dai fumetti di Marjane Satrapi quella narrata da Marina Neimat, autrice di 'Prigioniera di Teheran', libro per cui ha ricevuto il premio per i diritti umani del Parlamento Europeo. Come 'Persepolis', il memoir della Neimat, che da dieci anni e' cittadina canadese, racconta da dentro l'evoluzione e i mutamenti subiti dall'Iran dopo la Rivoluzione Islamica, ma mentre la fumettista, ancora adolescente, fu spedita in Austria dai suoi genitori, la scrittrice passo' invece due anni, due mesi e dodici giorni nella famigerata prigione di Evin. Incarcerata per essersi opposta alle guardiane della rivoluzione, che a scuola volevano insegnarle il fanatismo anziche' la grammatica, Marina inizialmente fu condannata a morte dal regime di Khomeini. Ma uno dei suoi carcerieri, Ali, si innamoro' di lei, la obbligo' a convertirsi dal cattolicesimo all'Islam e a sposarlo per farle avere la grazia dall'ayatollah. Per nulla afflitta dalla sindrome di Stoccolma, Neimat, in Italia per ritirare il premio europeo, spiega che ''nessuno di noi e' totalmente buono o cattivo: prima di essere un carnefice, mio marito Ali, che era stato imprigionato a Ezin quando c'era lo Scia', era a sua volta una vittima, e se non fosse stato per lui - riconosce serenamente - oggi non sarei viva: credo che si debbano conciliare rabbia e perdono, amore e rancore, senno' si alimenta un circolo vizioso di vendette che non aiuta nessuno''. Per fare i conti con il suo passato, ci sono voluti dieci anni: ''il giorno in cui sono stata rilasciata da Evin, la sera a cena dai miei si parlava del tempo, come se non fossi stata oltre due anni in prigione e - racconta - non e' stato cosi' solo per me: in molti hanno pensato che, non facendo riferimenti al passato, prima o poi noi prigionieri lo avremmo dimenticato''. Lei stessa, tra seconde nozze (con il ragazzo che l'aveva aspettata per tutta la prigionia) e trasferimento in Canada, aveva creduto di poter seppellire Ezin, ''ma un giorno, sotto la doccia, ho cominciato a gridare: erano tutto il dolore, la rabbia, il rancore che covavo e non riuscivo a esprimere da anni''. ''Scrivere questo libro - dice - non e' stata una decisione, ma una necessita': quella di fare i conti con il mio passato''. Con gli anni a Evin, dove ''dall'81 al'91 - afferma - sono passati circa 40mila prigionieri politici''. Una prigione che e' in uso tuttora ''e che per fortuna ospita molta meno gente, non perche' il governo di oggi sia migliore di quello di ieri, ma perche' - spiega Marina - la popolazione ormai si e' fatta furba''. Tanto che, ''avevo pensato di tradurre il libro in persiano, per farlo circolare almeno su internet, ma non ce n'e' bisogno, perche' l'hanno gia' fatto di nascosto!''. Il suo paese, dove non ritorna da un decennio, oggi - secondo Neimat - vive in una sorta di limbo: ''gli iraniani sono in un Purgatorio: la maggior parte odia il Governo, ma vedono cio' che succede in Iraq e pensano di avere un minimo di stabilita'''. Eppure, ''nessuna dittatura dura per sempre e l'Iran e' una nazione di giovani, per questo - sprona - dobbiamo mantenere la speranza''. E rinfrescare spesso la memoria collettiva, anche con ricordi personali. Per questo, dopo 'Prigioniera di Teheran', Marina ora ha intenzione di raccontare le storie delle tante ragazze condannate a morte che, a Evin, sono diventate madri di quella che chiama 'la generazione senza genitori'. (ANSA).

Wednesday, December 19, 2007

New York, 18 dic. (Apcom) - I numeri parlano di una maggioranzapiù che tranquilla per il 'sì' sancito oggi dall'Assembleagenerale dell'Onu sulla risoluzione che chiede la moratoria dellapena capitale, 'in vista dell'abolizione'. Sono stati 104 i 'sì',5 in più di quelli ottenuti dal testo in Terza commissione anovembre. Gli astenuti 29 (cioè 4 di meno) e 54 i 'no': due dipiù. I sì e i no hanno pescato fra quei 9 paesi che non si eranoaffatto presentati in aula in novembre. Ma è affascinante lageografia di questo 'mondo abolizionista' che si disegnaguardando il risultato nel dettaglio.

Fra i grandi paesi favorevoli alla pena di morte ci sono, è noto,Stati Uniti, Cina, Giappone, India (che però hanno fattopochissima campagna d'ostruzionismo); i paesi caraibici (ma Cubasi è astenuta). Se l'Europa vota compatta per la moratoria - comeè ovvio per i paesi membri del Consiglio d'Europa, ma chesoddisfazione vedere all'Onu il 'sì' della Russia e dellaTurchiaa, linee di spaccatura traversano invece tutti gli altricontinenti. Primo fra tutti l'Africa. Dove Ruanda, Burundi,Algeria e Sudafrica, Burkina Faso votano sì alla moratoria. Maugualmente da un capo all'altro del continente nero ci sono paesifortemente favorevoli alla pena di morte. Dallo Zimbabwe alSenegal, da Niger, Nigeria e Sudan all'Egitto alla Tunisia,mentre il Marocco si astiene. E se il Madagascar è fra i 5 paesipassati al fronte del 'sì' (gli altri sono Kiribati, Palau, CongoBrazzaville e Nauru) la Somalia è uno dei due passati al frontedel 'no' (l'altro sono le Isole Solomon).

In Asia la situazione è altrettanto varia: abolizioniste leFilippine, la Thailandia, si astiene il Vietnam come la Corea delSud, vota 'no' la Malaysia. Australia e Nuova Zelanda votano 'sì'senza esitazione. Compatto il 'no' di gran parte dei paesi arabie di tutto il blocco del Golfo: Iran, Kuwait, Qatar, ArabiaSaudita, Yemen... ma gli Emirati arabi si astengono. Mentrenell'America Latina dal 'Sì' del Messico a quello del Brasile,Argentina, Cile, Perù, il subcontinente è abolizionista.

Per il ministro degli Esteri, Massimo D'Alema, l'obbiettivo èstato conseguito anche perché non era unicamente europeo; 'cisiamo presentati con una grande alleanza internazionale', paesicome Brasile, Nuova Zelanda, Messico hanno agito ciascuno nelproprio continente giocando un ruolo pilota. 'Credo - ha aggiunto-che abbia grande valore la mobilitazione di gran parte delcontinente africano che è stato determinante anche ai fini delrisultato ma che ha anche grande carattere ideale in uncontinente che ha vissuto simili conflitti. Che paesi come ilRuanda siano diventati sponsor attivi della risoluzione è unforte messaggio di pacificazione'.

E il sottosegretario Gianni Vernetti ha ricordato l'importanzadell'azione di 'cinque paesi dell'Asia centrale del blocco exsovietico, tutti islamici' a partire dal Kazakistan, 'che hafatto dell'abolizionismo la sua strategia principe per candidarsialla presidenza dell'Osce' (gli altri sono Turkmenistan,Tagikistan, Kirghizistan e Azerbaigian), nonché del Brasile 'chesull'America Latina ha svolto un ruolo di sollecitazione'.Giocando sul sistema dell'Onu, per cui ogni paese ha un voto, 'siè fatta una politica mirata' di pressing diplomatico.

Per l'ambasciatore italiano all'Onu Marcello Spatafora, poi,bisogna considerare l'azione futura di questa moratoria anche supaesi che hanno oggi votato 'no', e porta ad esempio l'India: 'ilmio collega indiano mi diceva, non posso votare contro lalegislazione del mio paese però questa risoluzione una voltaapprovata sarà utile a noi e un incoraggiamento': la risoluzione'di per sé non è vincolante ma è uno strumento'.

Friday, December 07, 2007

MILANO, 7 DIC - Nina, bidella milanese di 51 anni, segue la filosofia buddista perche' le rende ''la vita meno pesante'' ma quando arriva mezzogiorno deve scappare a casa ''per preparare da mangiare al marito''. Graziella, interprete in pensione di Venezia, non vuole perdere una parola del ''maestro'' perche' ''aspettavo questa occasione da tempo''. Anche Gino, 54 anni, medico a Parma, segue da anni gli insegnamenti del Dalai Lama: ''Sono stato anche in Himalaya per sentirlo''. E se Elsa, 28 anni, insegnante di Bologna, e' spinta soprattutto dalla curiosita' perche' ''il Dalai Lama e' il personaggio piu' importante dopo Ghandi e Madre Teresa'', Yoko, giovane giornalista di Hong Kong e' piu' pratica: ''Visto che lui non viene in Cina, vengo io da lui''. E' l'eterogeneo 'popolo in cammino' (cosi' amano definirsi gli appartenenti al Buddha pensiero) che oggi, arrivato da ogni parte d'Italia e anche dall'estero, ha affollato il Palasharp di Milano (ottomila le presenze) per assistere all' insegnamento del capo religioso tibetano, al suo terzo giorno di permanenza in citta'. Iniziato in mattinata, il ciclo di preghiera e riflessione ha fatto seguito all'incontro ufficiale, svoltosi al Pirellone, tra il Dalai Lama e il presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni. Durante il colloquio, che ha visto le due autorita' scambiarsi doni e cordialita', si e' parlato soprattutto di questioni politiche e in particolare dei rapporti tra Tibet e Cina. E se la massima carica religiosa buddista ha detto che ''La comunita' mondiale ha la responsabilita' morale di chiedere alla Cina il rispetto della democrazia'', il Governatore ha confermato che ''il Dalai Lama non ha avuto alcuna espressione di ostilita' nei confronti della Cina, anzi considera un errore pensare di isolarla''. Un incontro istituzionale, l'unico concessogli nel capoluogo lombardo, che ha riecheggiato anche tra le mura del Palasharp, dove i milanesi non sono riusciti a trattenere la propria delusione per la 'tiepida' accoglienza ricevuta dal 'maestro'. ''Siamo molto indignati - spiega Carmen, ex responsabile delle risorse umane alla Ibm - per come le istituzioni non hanno saputo accogliere a dovere il Dalai Lama. L'Italia si e' venduta al potere economico come altre grandi potenze''. Polemiche che passano, pero', in secondo piano di fronte alla forza delle parole di Tenzin Gyazo, assiso su un tronetto circondato dai monaci seduti nella posizione del loto. ''La filosofia buddista - spiega Carla, 52 anni, producer televisivo di Milano - e' il mio motivo di vita''. Anche quattro amici lecchesi, tutti imprenditori, si sono votati al buddismo e ogni martedi' frequentano i corsi del centro 'Kailash' di Bergamo: ''Questa filosofia di vita porta a un miglioramento della condizione mentale - affermano - e quindi alla consapevolezza di cio' che ti succede''. La stessa presa di coscienza che ha aiutato Monica, impiegata di Riccione, a superare la difficolta' della separazione. All'amica Viviana, invece, il buddismo piace perche' ''rispetta la persona, con le sue luci e ombre''. Un atteggiamento ben diverso, secondo la casalinga della Riviera, da quello ''imposto dalla religione cattolica, che ci vuole tutti perfetti''. A parlare di differenze tra buddismo e cristianesimo sono anche due sorelle milanesi, Deli ed Emanuela, o anche Anna, 38 anni, cattolica praticante, interessata alle filosofie orientali. Per lei ''la Chiesa, con il suo dogmatismo si e' allontanata molto dai fedeli. Il buddismo, invece, e' fortemente improntata sull'uomo e sulla sua liberta'''. Accanto a lei, la figlia Lilia, di soli 7 anni, ride per la visiera che il Dalai Lama si e' messo in testa per proteggersi dalla luce dei faretti che illuminano il palco. Poi, sbuffa: ''Mamma ma quando finisce tutto questo parlare...?''.Giorgio Feltri, ingegnere in pensione, non ha ancora un'idea chiara del perche' si trovi al Palasharp: ''Forse perche', pur frequentando ambienti cattolici, sono aperto anche alla ricerca di qualcosa che dia un senso alla vita''. Poi ammette: ''Ma e' pur vero che, come diceva Pascal, chi cerca e' molto piu' vicino a Dio di quanto creda''.

dalai

DALAI LAMA: IMPRENDITRICE GANCIA DIETRO QUINTE VISITAANCHE GRAZIE A LEI COSTRUITI IN TIBET UN OSPEDALE E UNA SCUOLA (ANSA) - MILANO, 7 DIC - Non e' buddista, ma e' lei il 'deus ex machina' della visita italiana del Dalai Lama. Da quasi dieci anni, l'imprenditrice Laura Gancia e' sempre presente nelle visite italiane del leader tibetano, occupandosi e preoccupandosi delle sue necessita'. Il Dalai Lama lo ha conosciuto nel 1999, quando un' amica le chiese di darle una mano per organizzare una delle sue prime visite a Milano. Grazie a lei, negli ultimi tre anni, sono stati costruiti un ospedale e una scuola in Tibet. Fu Il Tibet Bureau di Ginevra a comunicarle il desiderio del Dalai Lama di costruire il primo ospedale per tibetani in Tibet. Lei, che non e' una 'fund raiser' di professione, scelse di rifuggire i metodi tradizionali di raccolta fondi (eventi mondani), e si rivolse direttamente ai suoi amici, ai vertici di aziende e banche. Cosi', nel 2003, vide la luce il primo istituto di cura per tibetani. Dopo pochi mesi, un'altra richiesta, per la costruzione della prima scuola per tibetani in Litang, poi realizzata grazie alla fondazione Nando Peretti. ''La causa tibetana - dice l'imprenditrice all'Ansa - non la si aiuta solamente inviando aiuti ai monaci in esilio, ma intaccando il meccanismo di genocidio culturale che il sanguinario regime comunista cinese perpetra impunemente da decenni. Ma si sa - accusa - nessuna grande azienda internazionale, tantomeno italiana, nessuna organizzazione internazionale, nessuna delle innumerevoli onlus cosi' comodamente politicamente corrette hanno mai avuto la benche' minima intenzione di disturbare la dittatura comunista di Pechino, regalando alla martoriata popolazione tibetana quanto di piu' inviso al programma di annientamento culturale deciso da Mao, una scuola''. In tanti anni, con il Dalai Lama la Gancia non ha condiviso solo battaglie politico-civili, ma anche momenti di intimita': quando il leader tibetano arrivo' all' Hotel Exedra, durante l'ultima visita romana, trovando in camera arredi di pelle e specchi, si rivolse all'amica per chiederle di cambiare alloggio. Lei fece di meglio: chiamo' la proprietaria dell'albergo, che in pochi minuti riarredo' la suite in versione minimalista. La mattina dopo, il Dalai Lama porto' in regalo all'amica un' arancia, in una ciotola, dicendole 'questa e' per te, e devi sempre tenerla accanto a te con un frutto'. Un gesto spontaneo, che Laura Gancia non potra' mai dimenticare.(ANSA).